Se fossi un altro chiederei il tuo nome
Non quello noto, ma quello vero.
E su quel nome inizierei poesie,
non quelle note, ma quelle mie.
E da quel nome farei partire strade
Verso campi intonsi, e spiagge dorate
Verso belle aiuole, e case fatate,
alla volta di feste, e navi salpate
che siano già in mare
e che proseguano il volo,
che si fermino soltanto al penultimo molo
così non è tardi e se vuoi andare indietro
giriamo la nave e cambiamo futuro
andremo nel giardino
dove il frutto sia maturo.
Se fossi un altro ricambierei il tuo sorriso,
etereo, dolcissimo, che solca il tuo viso,
che adorna sicuro la tua bella bocca
incastonata su pelle d’albicocca
profumata così tanto e delicata altresì
che il mio pensiero non si stacca di lì,
chiaro perfetto sferico, viso d’oval rotondo
al suo cospetto misero mi appari, mio grande mondo,
e come marea sospinge umori ed oceani e mari
tale quel volto adombra la luce di mille fari
così su di me s’abbatte la pioggia dei tuoi strali
che solo per vie divine diventeran fatali;
Sia il fato generoso, garbato e ben gentile
Con te ognor, mia bella, di miglior divenire
Hai scritte sulla pelle ancora sì infantile
Promesse benedette, emozioni da sentire.
Se fossi un altro ti carezzerei la mano
Avendone il coraggio, tu bella in modo umano
Eppure non umano m’appare il desiderio
Che tutto l’universo non potrebbe sedare
Per man di metonimia, io mano ad adorare
Vorrei con te compresa, cuore anima e mente
Futuro passato infinito, amore qui presente
Che stirerei potendo ogni singolo secondo
Fin quando quello amore non fosse noto al mondo
E fin quando il mondo vivo per un secondo intero
Non riconosca a te che questo è amore vero.
Ti bacerei le labbra, se un altro un giorno fossi
E da quel bacio millanta sboccerebbero fiori rossi
Come da germogli forti che resistano al freddo e al gelo
Col sole dipoi fioriscono levando lodi al cielo
Tali da quel mio bacio, da quello che a te vorrei
Germoglieranno storie da far fermar gli dei.
Se un giorno t’incontrassi, amore mio celato
Ti giuro t’amerò, come ancora non s’è amato.
13.12.06
Etichette: Poesia d'amore
16.11.06
Demoni
Si avvicinano con la luce. Oppure senza luce, non gliene frega niente. Tutta la sera infatti è acquietata di lampioni e finestre accese, di fari d'automobili e insegne luminose.
Quando si perde aderenza con la realtà si può farlo in due modi, anche se in fondo alla fine sarà la stessa cosa.
Ma non è ancora la fine no?
Si può perdere coesione cinematica con il mondo circostante la propria senzienza e non accorgersene, oppure si può avere l'impressione di lasciare in qualche modo il mondo di là dal velo per attraversare lo schermo.
In entrambi i casi, ma più facilmente nel secondo, oh, quanto più facilmente, si dà a sè stessi l'imperativo "nomina", atavico e biblico. Corrisponde all'imperativo "giudica"? In un certo senso l'uomo si trova in un transitorio temporale superato il quale lato corto della campana è considerabile in un nuovo sistema, ed allora è come se ognuno fosse l'unico, il primo ed il solo. E vede gli altri, i tutti, quelli.
E nomina. Nomina attraverso il proprio giudizio, e sia esso giudizio inficiato oppure no da quel che prima lo ha toccato, congestionato, usato, percosso, oppure no lasciandolo scevro ed in un certo senso vergine, in questa campana di là dallo schermo esso è vergine, e gudica. Nominando.
E tali nomi assurgono ad identità in una foglia di mondo, in un tempo verde e sottile. I nomi stessi che hanno primigenio il giudizio, rimangono aderenti a sè stessi, bevendo dal diritto che hanno, come tutti i creati, di essere, in cui è compreso l'essere male, l'essere giusto, l'essere proiezione distorta oppure felice. E molto altro.
In un certo senso è come se Dio, o quel che a Sua immagine e somiglianza è nel Demonuomo, visto che è nell'uomo che non ha mutato la propria natura, vedesse sopra ciascuno oltre il velo un numerino indicante una quantificazione, un numerino colorato, cangiante in maniera discreta oppure continua, questo dipende dalla natura della campana sotto cui ci si è introdotti.
Certo, nessuno ne capirà un beneamato cazzo, ed alla fine sarà un peccato.
Ma non siamo alla fine, no?
Bè alla fine del preambolo sì.
Etichette: Parole
15.11.06
Mi piace il sangue dall'incavo fra braccio e gomito...
....Lì dove è più frizzantino di ossigeno che viene diretto dal cuore, mosso ma non strepitante che corra verso i pensieri. Dove sa di fare più che di essere e di avere.
Polvere. Polvere rossa calda nei miei arsi polmoni. E poi i polmoni non c’erano più. Almeno questo è quello che mi ha detto Pelopida. Pelopida non è esattamente il mio sire, ma ci si avvicina parecchio. Il mio ultimo respiro è stato polvere, rabbiosamente gettatami in viso mentre morivo, appeso a quel ramo. Luce ancora viva, luce del sole, e un passo su un masso, e un salto di giù. Quella corda che stracciava la mia pelle intorno al collo, non solo sulla gola, dove ero solito vederla stracciata nei poveri impiccati, anche dietro e di lato, la pelle squarciata, il respiro rotto, ripreso, poi rantolato, infine spezzato, poi il buio. Poi la tenebra. Infine il terrore. Terrore di essere maledetto per l’eternità. Dev’esserci stata una risata, mi dice Pelopida, una risata od un pianto, sinistro, mancino, giacchè io non posso ricordare farò bene a fidarmi di chi mi ha assicurato la vita.
Pelopida non me la donò, sia chiaro. Lui non avrebbe mai abbracciato un derelitto miserabile chiaramente inviso al Signore, ma nemmeno, bontà sua, lo avrebbe lasciato a languire. Ne avrebbe di certo fatto almeno un servitore. Pelopida è un tipo affilato, con il naso adunco, e la mascella storta, cionondimeno un tipo di gran classe; al tempo indossava sempre pepli blu né acceso né spento, come si conviene ad un vero belluomo. Nonostante le sue labbra rosse si stagliassero sottili sul suo delicato incarnato il Principe di Atene era gradevole, proporzionato e grazioso, di armonia allenata per quelle loro manifestazioni sportive, le olimpiadi, cui teneva sempre. Portava la fiaccola con somma dedizione, a noi parve più di una volta anche con qualche tremito. Che fosse un tremito di repulsione, come la sua natura avrebbe richiesto, o che fosse un tremito di gioia, come richiedeva invece il suo ego sempre volto al bello senza mai carpirlo, non ci è dato sapere. Ma una notte mi rapì. Lui stesso volle partecipare all’azione, stando a quel che mi racconta. Io ero polpa. Polpa e peccato, io più d’ogni altro. Un mirmidone, secondo sé stesso, guidava l’azione nel fresco della sua corazza di cuoio piastrato di bronzo. Brandiva una lancia, arma stupida, e si crogiolava nel suo possente potere. Pelopida imbragato di calzari puntuti, come se sapesse usarli, il capo cinto di un elmo con cimiero, sbavava al pensiero. Noi viaggiavamo ai margini del deserto, fra sabbia e spiaggia, fra caldo ed umido, e di giorno venivo seppellito, e di notte spintonato a calci dai cammelli.
9.10.06
Gondoleide - Canto I
Al sorgere fresco del sole delinquente
Il mare suo amico a quel raggio tepente
Lasciando i suoi destrieri che pascolino in giro.
Osservo uno di loro, bianco e spumeggiante
Un cavallo di mare alato e fatto d’onde
Mi siedo, a cercare armonica assonanza
Con i suoi movimenti eclettici e scattanti,
Perché debbo rapirlo, e condurlo in amicizia
Con me, che questo viaggio è cosa necessaria.
“Cavallino, Arrò! Arrò!” gli sorrido titubante
Mentre indugia il passo mio che nel mare
Va a bagnarsi, fresco limpido e bellino.
Lui mi guarda come un bimbo curioso
Di sapere che dica quel desso, e chi sia
Che lo chiama, lui che mangia il pelo dell’acqua.
Se vedessi, da un altro pianeta, il quadretto
Che si muove appena, lo vorresti in cornice
Rotonda, che strano sarebbe la terra circonda
Un litro di mare. Se guardassi però con maggiore
Attenzione la fuga del mare da chi lo comprime
Troveresti in un braccio, rigagnolo, stretto
Due gorghi e dei gamberetti che s’inseguono
Spazzando la rena ed ogni dì dipingendone
Un altro profilo. Finito il suo pasto il puledro
Di mare vuol fare amicizia, ed io lo raggiungo.
Carezzo le squame bianche di spuma, brilla
La sua cresta come quella d’un’onda e porge
Arcobaleni alle mie dita che la attraversano
Ridendo. Rido, in effetti, di grande allegria
Perché, in fede mia, non ho mai sentito
Più bella pulsione che quella di allora.
Ricambia il mio gesto con una codàta
Che quasi mi manda con le gambe per aria
Ed il capo a fare il bagno, mi scarta poi intorno.
Lo seguo impacciato, con gli occhi più che
Con le gambe, leggiadra creatura che liscia
Sull’acqua s’appoggia per magia. Devi essere mia.
Fatto ch’è fresco l’approccio giocoso
Mi seggo un momento con pelle tremula
Su un masso piatto che è pista d’un granchio.
Un’onda che a me pare gentile e soffice
Spazza la meta con tutto il granchietto
Solleva scivolosa, risucchia in sé
Nel confine del mare che è quasi spiaggia
Lontano non cale quanto da dove andava
Ma tanto più vicino al suo piccolo destino.
Sospiro scottato dal solleone tepente
Sulle spalle e la nuca mentre sorgo
Dalla spiaggia in un verdazzurro che
Di onde è cielo, ed è specchio salato
È luce che fresca carezza ogni volto
Che vada a tuffarsi nel proprio riflesso.
Sospiro più forte, verso il mio amico
Che pascola ancora sul pelo dell’acqua
Ma garbato mi dà conto. Felice
E risoluto immergo il mio sguardo
Nel suo verde più che blumarino
Trovandomi a sorpresa un attimo
In un basso fondale di rena e di alghe
Un eco sabbioso, un rumore di cuore.
“Puro come mare, non mai mi tradirai
Né ti abbandonerò lontano da qui.
Lo so. Lo giuro. Partiamoci adesso,
Mi attende il futuro, e sarà sorpreso
Di me in compagnia, di vedere che
Leale mi è sostegno un amico come te".
Etichette: Poesia epica
3.10.06
Mestieri
“Questa è la sua carta d’imbarco, signore. Uscita 16, dalle 14:05” – e la sua quieta benevolenza si posò sul viaggiatore, come il fumo d’incenso fa nelle chiese; un leggero fremito la attraversava mentre volgeva di nuovo lo sguardo alla coda del check in, per studiare i passeggeri, e lasciarsi guidare nella scelta dei loro posti. In assoluto, di tutto il suo lavoro, questa è la più piacevole, la più importante, la più difficile, la più responsabilizzante, la più appagante delle mansioni. Una procedura che necessita della sua intera sensibilità, perché è nelle sfumature che si annidano gli errori. E con le anime non si gioca. Una procedura che impiega il suo intero coraggio, perché ognuna di quelle scelte ne merita non di meno. Una procedura che si fonda sull’esattezza dei tempi, strettissimi, perché non può e non deve, per natura e conseguenze, invadere l’intervallo temporale delle altre procedure. Ma una procedura di un’importanza abissale, perché l’unica su cui si fonda il processo che innesca. Non importa se ne capita spesso l’occasione, ma quando capita guai a sbagliare! Tutte le altre servono a dar la possibilità ai corpi di prendere il volo, e la destinazione è nota, è scritta sulla carta d’imbarco. La contingenza, l’immanenza. La sintesi: mantenere una quota di ascolto sulle conversazioni in coda, in loop, e far partire il secondo passo se viene riconosciuta una delle parole chiave, e qui è semplice. Una segretaria di anime sa far di più. Una delle sue skills principali è quella di riconoscere anche timbri di voce, e crearne un DB nella sua memoria. Se il checksum fra parola e timbro dà un risultato che punta ad una possibile apertura allora è compito della sacerdotessa verificare se nella lista di fronte a sé c’è la possibilità di un inserimento in ciclo. E allora necessariamente i posti assegnati ai viaggiatori saranno vicini. Le piace sognarne i voli, non quelli dei corpi, quelli dei sensi. S’immagina i brividi, le variazioni di tensioni interne, i saliscendi delle speranze, le caute arguizioni, i timidi approcci. La codifica dell’ineffabile, l’anello trascendente. La proiezione di tali anelli nella direzione d’ascesa dei corpi le disegna un’elica nel cuore, e successo dopo successo su quest’elica costruisce la sua scala a chiocciola verso quel tempio superno che ospiterà la sua anima, al cospetto del dio.
Etichette: MicroRacconti
2.10.06
Eroi, Eroine
We can be heroes
just for one day
Parla di nuotare come delfini. Di rimanere a baciarsi sotto una pioggia di pallottole come se quel bacio potesse fermare la mitraglia.
And i guess that i just don't know
Oh, and i guess that i just don't know...
Abbandona ciascuna ragione in un ago diverso. In un diverso enzima.
L'eroe non compie imprese straordinarie in condizioni normali, ma imprese normali in condizioni straordinarie. Ed è verso sè stesso che compie i maggiori peccati.
Etichette: Sententiae
20.9.06
Sirena
Datteri dalle tue labbra fuggiaschi
Per vermiglio imbarazzo, così mi figuro
Il tuo dire armonioso divenuto parole;
Che di confini non ha tempo l’armonia
Che ne viene. Hai voce più dolce, sirena
D’incanti ammantata come di spuma dorata
Al sorger del sole, ai graffi del sale memento
D’un tramontato momento padrone di me
E dei miei compagni sordi di cera
A quella armonia, a questa mia smania
Incatenata ad un albero sotto la vela
Spiegata, gonfia di sorte che mi porta lontano
Da te, dal ricordo d’un suono che invano
Violenta la percezione mia.
Inutili versi, sono già via.
E questa è la versione definitiva, raffinata.
Datteri rossi dalle tue labbra esiliati
Colti da imbarazzo come da baci rubati;
Il tuo dire è parola in questa maniera;
Di confini ed assedi non ha tempo e dispera
Ora al tuo cospetto, sconfitto senza pugna
Quel cuore cui tutela gentile non gli giugna.
Hai tu voce più dolce dei frutti, Sirena
D’incanti e d’aurora ammantata
Come di spuma dal sole dorata.
Uno schiaffo dall’onde, un memento
Per un momento son memore e in me.
Ed i miei compagni sordi di cera
A quella tua armonia, a questa mia smanìa
Incatenata di conoscenza ad un albero,
Ristanno. Più non ti sentiranno.
La vela spiegata si gonfia di tiuche
Sospinge con me il mio legno lontano
Da te, Sirena; dal ricordo che invano
Quel canto usò violenza alla volta mia.
Gorgheggi senza uso, il tuo canto è una bugia.
Etichette: Poesia d'amore
12.9.06
Nu Romanticu
Adorazione cavalleresca.
Il braccio al brando abituato
Crolla inerme e floscio
Dinanzi al suo incarnato,
Il cuore pure saldo e ardimentoso
Vien punto da vaghezza
E scosso da un focoso
Tamtam più rutilante
Del giovin che al tamburo
S’appressi da incalzante
Sprone alla battaglia.
Il viso suo è di raso
Serico alla vista
Lucente poi al contatto,
Ha angelici i capelli
Fluenti sulle spalle
È bianca la sua pelle
Del più raro alabastro
Che abbia il mare incastonato.
Il mare ed il suo abisso
Son creati pei suoi occhi
Per dare ad un poeta
La gamma d’emozioni
Che vive nel suo sguardo
Calmo, in tempesta, mosso e agitato
D’un verde più blu del rosso alla sera
Un gorgo ipnotico in cui annegare
Da tanta bellezza non c’è salvezza,
C’è solo adorazione
Ed eterno giuramento
Di sempiterna devozione
O ignobile sgomento
Per offesa a lei recata,
Lei, di luce adornata,
che non proietta ombre
ma che coi suoi sorrisi
rischiara tutti i visi
di chi sia fortunato
e il suo sguardo abbia incontrato.
Ha bocca di ciliegia
Piccina e birichina
Eppure in poco spazio
Promette caldi baci
Nascosti in quelle labbra
Divine più che umane
Ricolme di rigoglio
E rosse rosse rosse
Ripiene di dolcezze
E dolci dolci dolci
Le alpi aspettan dietro
In guisa di denti
Freschi come neve
E dello stesso bianco
Ma brillanti ancor di più.
T’avessi vicina,
e dinanzi la luna
Nemmeno la vedrei,
anzi la caccerei
Ma resterebbe lei
Per imparar beltà
Di cui tu sei regina.
T’avessi con me
E tutto intorno le stelle
Son certo, dispettose
Cambierebbero cielo
Che in questo splendi tu.
Io non le fermerei.
T’avessi stretta a me
Alla luce del sole
Lui stesso scenderebbe
Per prenderti per sé.
E leale andrebbe via
Perché non è capace
D’amore quanto me.
T’avessi in riva al mare
Che siamo vecchi amici
Insieme ci unirebbe
E saremmo felici
Etichette: Poesia d'amore
6.9.06
Eco d'adolescenza
Ed in età di senescenza si viene colpiti da sindrome del trentenne insoddisfatto. In effetti io trentanni non ce li ho, e soprattutto non ho le incombenze dei trentenni. Quindi mi autoconvinco che il mio rimanere legato a molte cose che mi piacevano da pischello è una caratteristica mia personale più che un sintomo di chissà che cosa, che questi psicologi vanno al costanzo e diventano miliardari inventandosi cose tipo le pulsioni giovanili, che cosa cazzo sono le pulsioni giovanili? ma non ci cacare la cazza!
Tutto questo per giustificarmi che mi son rimesso a sentire gli iron maiden? Non devo avere proprio un cazzo da fare!
Oppure come dice qualcuno il bello non è non fare un cazzo ma avere qualcosa da fare e non farlo.
In effetti se quel di cui prima (ellissi di senso) dovrei nascondere playboy nel bidone di cattivik e fumarmi i tostini di nascosto!
Etichette: Parole
31.8.06
Arlecchino
Che ci si possa credere o meno. Sono la stessa persona. Se da piccolo ti fanno sempre vestire solo da arlecchino, per il carnevale, qualcosa evidentemente ti rimane!
Etichette: Parole
Mai più!
Sto morendo di mal di pancia. Ormai è ufficiale. Non ho dormito che un paio d'ore a singhiozzo, e a singhiozzi di sofferenza! e sì che io di solito lo sopporto bene il dolore. Ma questo non è quel mal di pancia per il quale vai in bagno, nè quel bruciore da troppo caffè o postseratalcolica. Dolore proprio! come se avessi mangiato le ali di pollo (e le ho magiate) ma con tutte le ossa (o gli ossi, la ossa, quel ca l'è). Mai più comprerò le mangiotte ricoperte di pancetta, sono terrificanti, e nemmeno troppo buone. Toglietele di produzione, fatene altro di quelle alucce, fatene dadi da brodo, insomma qualsiasi gestionale saprebbe cosa farne. Ma non vendetele avvoltolate nel maiale, che uccidete le persone. Il maiale era troppo spesso, il prezzo salato e le proprietà organolettiche pessime. Migliore sarebbe stata l'idea di cosce ricoperte da un sottile strato di pancetta, da saltare in padella e passare al forno. Ma queste alucce sono terrificanti.
CATTIVI!
30.8.06
Gelato
Ieri sera dopo la pizza da willy di via bergamo siamo andati a passeggio a prendere un gelato: oltre a me c'erano Antolla e Nevereasy. Entrati nella prescelta gelateria io mi fiondo verso il bancone per vedere i gusti, e osservare la consistenza dei gelati. In realtà non sono molto ghiotto di gelato, però sono un patito assoluto del gelato al pistacchio, probabilmente anche per il nome. Inzomma osservo la teca, e un gelato con striature di caramello mi carpisce l'attenzione. Nel mentre si erano fatti più presso anche il Neve e l'Antolla.
Flashback
N: dichiaro questa la serata del nonsense: non voglio sentire una sola frase che abbia senso
G: In effetti nemmeno una sola parota
A: Hai un sbrifrunzsetto palla sul nh
G: No, è un neo
N: Dall'altra
...
...
N: non ho capito perchè non la portano direttamente sulla tovaglia, sarebbe troppo igienico
Interessatissimo a quel gelato caramello style porgo alla simpatica gelataia domande inerenti l'effettivo aroma del suddetto cremoso composto igrofreddo, sempre vagando con l'occhio a cercare il pistacchio.
Gelataia: è come un... (si frega le dita)... mou, caramella alpenliebe, presente?
G:(non trovando il pistacchio) Wow, yum, sembra davvero appetitone...
N: caramella mou, tipo caramello, buono
A: bell'aspetto
Gelataia: sì, è come un po' il caramello
G: (trovando il pistacchio, lo osservo per controllarne il colore che non sia verde brillante) ...pistacchio...
Gelataia: (prendendo una palettina) lo volete assaggiare?
G: (leggendo pistacchio di Bronte, ringhiando) NO! assolutamente! IO VOGLIO IL PISTACCHIO!
Gelataia: (ridendo, ma un po' spaventata) allora per te caramello?
G: NO! PISTACCHIO!
Gelataia: (frettolosa) Un cono o una coppetta? media?
G: GELATO! AL PISTACCHIO! PISTACCHIO DI BRONTE!
Bollettino
Oggi invece mi fa male il naso. A dispetto della temperatura persisto a dormire con il solo boxer e senza coperture. Da quando ho il letto vicino alla finestra allo spegnere la luce mi perdo nel mio spicchio di cielo, e penso:
le mobili tende e i percossi valli
e 'l lampo dei manipoli
e l'onda dei cavalli
e penso le prese delle braccia di corpi senza volto, una mano sul polso, una sulla spalla, a dominare.
e penso l'onda di studio che vorrei, e la nausea mi assale.
e penso sorrisi e biondi capelli profumati
Illuminato da fioche luci che potrebbero anche essere morte, io non lo saprei prima di qualche migliaio di anni.
Ho qualche decimo di febbre, adesso, e dolore al collo. I muscoli tutto ok, quelli hanno recuperato. Sono le giunture e gli organi che non si abituano. Vedremo chi la vincerà.
Ancora non è troppo tardi, non è utile dar la colpa oggi a errori fatti ieri.
29.8.06
Mi fa male il ginocchio.
Fino a ieri era il sinistro: sarà perchè è l'ultimo che mi sono rotto, penso, oppure perchè il giro che faccio al parco sollecita di più quello.
Perfetto, oggi è il destro. E allora c'è una sola risposta possibile: vecchiaia.
Che figata se un giorno dovessero spuntarmi le branchie.
manca l'acqua
son tornato da una corsetta di 30 minuti sotto il sole, abbigliato di blu con doppia maglietta e pesi ai polsi. Sudato come un cavallo rientro in casa e hanno staccato l'acqua fino alle 11:30 per nonsicapiscequali lavori al PRATO. Manco fosse il PRADO.
E quel pagliaccetto di Kofi Annan fa straparlare D'Alema: "l'onu è tornata protagonista"
...
"è tornato il miglior Cassano"
Eterne promesse. Rimbocchiamoci le maniche, che le vittorie si ottengono con i Gattuso, gli Iaquinta e i Pirlo.
Peraltro ho sognato che andavo a cena con mio nonno, quello veterinario, che ogni tanto era morto e ogni tanto no. Però un po' era antipatico mentre stava morendo. Me ne dolgo, perchè invece era un vero tesoro.
28.8.06
Vattelapesca
Fanfarone, Fedifrago...
Ma che vogliono dire queste parole? Ok, fedifrago è colui il quale infrange la fiducia in lui stesso riposta, ma fanfarone? e Vattelapesca? e invece perchè non abbiamo una parola per indicare colui il quale punisce sè stesso, che era una delle più belle commedie di Plauto, l'eautontimorumenos. Perchè non abbiamo cognomi come Rabesandratana, Rabarivony? Preferiamo unabomber? tronista?
23.8.06
Fremito
Ho aperto per caso un quadernino che mi era stato regalato, inaspettatamente. Non credevo di averci scritto nulla, e invece dovevo essere un po' ubriaco. Gli ho dato pure un titolo.
Sacri. Tali i tuoi occhi di sembiante, grazioso.
Polpa d'amore, in fieri di Keiros, vivi nel sogno, come stanotte.
Non mancare adesso.
Un pulpito violento, le rime non sento
ma vivo il ricordo d'un testo.
Mi lascio.
A parte che non è tanto bella, ne ho fatte di molto migliori, non ha ritmo, nè struttura. Adesso che ci penso non so se è dedicata ad un sogno che avevo fatto svegliandomi dal quale mi sono aggrappato alla penna oppure se è dedicata ad una notte ed un bacio per il quale trillarono i campanelli.
Stanotte ho sognato una bellissima maserati, bicolore, crema e caramello, ma inguidabile, perchè aveva i pedali dal lato opposto al volante.
Etichette: Rime sparse
22.8.06
Passo adesso in rassegna i disordini della mia stanza. Sul letto il telefono e diciassette calzini spaiati, due dei quali ho scoperto essere accoppiati. Le ante dell'armadio aperte. Sul divano n°1 pantaloncino del pijama, n°1 pinocchietto blu da casa, n°1 tuta nike verde da casa, n°1 lenzuolo copriletto. Sulla scrivania n°1 macchina fotografica, n°1 blocchetto minipost it rosa (rosa!) n°1 cd fatto per amica con ritardo di 4 mesi, n°1 accendino non mio (presumo di Antolla). Sul tavolo n°quattro quadernoni di esercizi problemi progetti brutta copia, n°1 bottiglia vuota uliveto, n°2 orologi da polso, n°2 pesi da polso, n°3 telecomandi, n°1 ipod n°2 polsini sudati, n°1 fascetta per la testa sudata, n°1 telefonino, n°1 occhiali da sole da running, n°1 maglietta dei pink floyd, n°1 portacenere, n°1 accendino, n°1 bicchiere vuoto, n°3 dispensine, n°3 preventivi della banca. Sul pavimento n°1 pantalone di tuta da running, n°4 calzini di spugna, n°4 scarpette da running, n°4 infradito, n°1 maglietta sudata, n°1 vape (inutile), n°2 slip, n°1 cavo audio. Sulla sedia (nel mezzo della stanza) n°2 polo.
21.8.06
Profeimer - Un disclaimer in forma profetica
Gondoliere è un lirico che gioca coi versi come Archiloco. E i suoi versi fanno presto a ricordare Pindaro, perchè non è mai uguale a sè stesso.
Gondoliere è un antieroe del mondo moderno. Combatte le battaglie dentro di sè, visto che ha un io interiore piuttosto violento. Come Zeno Cosini si interroga senza trovare risposte soddisfacenti. Prende su di sè le proprie colpe, e le serba nascoste agli occhi di tutti, per non dar loro peso certo, ma anche perchè Dio lo vede, e lui deve redimersi.
Gondoliere è un pauroso frignante, e della notte gli piace solo la luce, perchè nel buio c'è Sandman, e nel buio sta aggrappato ad un cuscino implorando il Padre di perdonarlo, il Figlio, suo fratello, di amarlo, e lo Spirito Santo di dargli la forza. E poi se ne vergogna, nel più classico dei clichet che infrange peccaminoso (per esempio odia chi parla di sè in terza persona), perchè il Padre ha altri cui pensare, perchè il Figlio già è morto per me, perchè lo Spirito Santo può occuparsi di altri meno dotti di lui.
Gondoliere fa visita alla sibilla, dentro di sè, nell'antro più oscuro di ogni altro, nel proprio cuore, nella propria coscienza. Una caverna rosseggiante cupa, trasuda sangue amaro. Porta con sè i suoi Lari, i suoi Penati, i suoi idoli. Come Gesù ha operato la transustansazione rendendo il Pane Vita, Gondoliere ha reso i suoi affetti cuore. Così porta con sè, fisicamente, un po' di amici, qualche tessuto fatto di sorelle, il sangue col viso dei genitori.
La sibilla non è affatto vecchia e cieca, è una giovane ventenne di bell'aspetto, di modi garbati e di pelle lucida e chiara, quasi splendente in quel sacco bizzarro dove il tempo se vuole si ferma. Però la sibilla non può mentire, e dopo aver fatto l'amore con lui ed averlo a lungo baciato e tenuto stretto come se volesse fondervisi, dopo aver preso per la profezia il meglio di lui, dentro di sè strabuzza i suoi occhi, scuote le braccia, ehuàn ehuàn.
Ecco le sue parole:
o stelle
gelose non siete della luce
della luna?
a voi per tanta lontananza
preoccupazione non è
veruna?
Per voi la vostra luce
è nutrimento
sincero è il vostro distacco;
v'invidio.
Io sola il mio lucore
vedo sanguinare.
Inerti, inerti restate
Brillate, piangete, ululate
il mio sconforto,
nè mai lo potrete
realizzare.
E quello strano fantasma
m'insegue : eppure
son ferma. Dura
come un diamante
e di poco men scintillante.
S'inerpica, striscia, più e
più s'arranca nè può
rivelar di sè.
Perchè? S'arresta, ritorna
Poi scappa, ansìma fugge via.
Diligente prosegue il suo canto,
la sua melodia.
Infinita, uguale.
Come un ruscello s'ingrossa,
si secca, dà vita,
distrugge. Cento cento e
più volte, a voi stelle
domando: giammai conosceste
L'amor per il sole?
Il numero, il noumeno
un soffio di vita.
Sole, o Sole
e tu, Mondo, date,
darete qualcosa a una stella caduta?
Cadente, la stella cadendo piange,
dispera, il freddo bagliore
riempie il proprio di cuore.
Chi? cosa mai siffatte sembianze
scambiò con la vita?
Lo feci forse io?
E dove, o foreste, dove sarebbe
l'amore che spetta a ogni vita?
Non spetta forse ad alcuna stella?
Cadente, caduta...
Grigio, grigio vecchio lupo,
no, neanche tu puoi volere
atra e selvaggia la vita che
eppure a te ha dato i denti!
Per colpire, graffiare, baciare!
La luce il calore, il suo colore.
Il ricordo, il triste mieloso
ricordo soffuso di gioia brillante.
Mai più esistì. Nè più esiste.
Sarà? Si lancia il pastore a salvare
la pecora nera, che rotola, cade,
giù a valle precipita e bela e
chiede parole d'affetto,
e non s'avvede ch'il gregge
è perduto.
Com'egli stesso
Etichette: Poesia d'epoca
20.8.06
Nonostante tutto ho ancora un po' di nausea. Nonostante il bel pomeriggio passato in compagnia ed il pranzo saporito ma non pesante, nonostante un rinfrescante gelato, la messa e la doccia. Ancora i 10 gin tonic di stanotte mi circolano nei nervi, e mi sento attutito ed instabile, come una bacheca di plutonio. Plutonio è una parola preferita. Ho anche fatto un paio di belle foto, sia ieri sera prima di passare il limite dell'alcolismo, sia oggi pomeriggio. Potrei mettermi a leggere, ma non mi va di stare orizzontale, potrei guardare un po' di tv ma non mi va di essere inoperoso, potrei studiare ma non mi va e basta. Potrei andare a correre ma so che la nausea aumenterebbe e poi ho sentito un dolorino all'inguine, meglio riposare fino a domani. Per cui sto qui demente alla tastiera, nè su nè giù, semplicemente qui. Con un orecchio troppo caldo, e una sensazione di intorpidimento che si diffonde come l'olio su una padella, liscia, tonda, quieta e grassa. Una quieta insofferenza vagamente tarpata è in me. Sospetto che l'insofferenza sia per l'abuso alcolico e la quiete sia per i farmaci. Avessi la vasca farei un bagno.
19.8.06
Per fortuna questa cosa della settimana senza caffè sta finendo. Non riesco a stare sveglio, e temo di avere una forma giovanile e clownesca di Alzheimer. Oggi ho di nuovo spalmato la marmellata sul piatto, e dopo che la macchinetta aveva scaricato l'hag nella tazzina l'ho messa nello scolapiatti. Anche adesso, invece di premere spazio ho premuto canc. Per tre volte, conscio di starlo facendo. (starlo facendo è un costrutto spreferito). Ma si può iniziare un periodo con le parentesi e mettere il punto alla fine? devo chiedere. L'altro giorno un amico mi ha chiesto chi fosse quella della foto, bel culo, mi fa. Che dici, minchione, sono io quello!
17.8.06
Cacchio, piove! e io che volevo andare a correre e fare la spesa. Speriamo che almeno la spesa possa farla, non ho niente in casa, e non voglio pizza, china o giappo. In realtà non so che vorrei, magari qualcosa di semplice. In ogni caso è da escludere il pane, e la pasta. Così come il riso e le patate. Resta la possibilità pesce, cui però è dura abbinare un contorno. Uova? Naaa, mi sa che sarà carne e insalata. Ieri dopo appena 20 minuti di corsa ho cominciato a sentire i dolori, sono proprio apppicco! LA MORTE!
La cieca ostinazione d'incollare
ai rami foglie secche ed ormai morte
scavalca la ragione, svilisce il sentimento
Etichette: Aforismi
16.8.06
Oggi niente pranzo. Frutta. Poi allenamento ed esercizi. Mi raccomando. Mira a comando. Mira!
15.8.06
Al falò di ferragosto dell'anno scorso mi sono riconciliato con questa mia peculiarità. Fin dal pomeriggio è infatti consuetudine cui mi stottraggo malvolentieri curare la preparazione e l'apparecchiatura di un buon Falò. Nella spiaggia davanti casa di Delux si sono consumate fra le serate e nottate ed albe più belle della mia giovinezza, dunque, presumo, della mia intera esistenza. La sabbia è a grana grossa, mantiene una alta umidità, bagna le spugne presto presto, e ci sono scogli in abbondanza per difendere il nostro fuoco dalla brezza che soffia dal mare. Nella zona c'è legna in abbondanza, anche se l'anno scorso abbiamo dovuto spaccarla a calci io e Collegolas, per tenere la fiamma abbastanza alta che scaldi ed illumini chi vuole accompagnarsi a noi. Da un minimo di una dozzina di persone fino ad un massimo di oltre un centinaio, nelle varie annate. Che la luce non disturbi "le coppie che vanno abbracciate ad amarsi", le stelle devono essere loro complici in quei momenti quasimistici. Si dovrebbe mantenere un
velo di imbarazzato pudore su questi ricordi, ma l'ironia mi suggerisce un memento: stai sotto, che se stai sopra e dai un colpo a vuoto ti flagelli come un cane. Chi prepara i cocktail, chi invece alle braci distribuisce salsiccia, pesci, bruschette. In una fossa con il ghiaccio tante birre, e in diversi angoli (angoli giri, in effetti) chitarre e chitarristi. Una lode al chitarrista da falò. Dobbiamo resistere fino all'alba, si deve mantenere alto il morale e l'energia, non lasciare che la stanchezza e l'alcool abbattano il gruppo. Bah, all'anno prossimo. Sono certo che se la caveranno bene anche senza di me.
Cazzate, nemmeno lo stanno facendo, ghghgh.
Novello Annibale
Così farei bene a vedermi, al fresco del vento seròtino estivo
satollo come otre, d'un ozio atemporale già sazio come divo.
Nell'aria ultraceleste, per mano d'inerzia, corriamo dal Leone
fra le braccia della Virgo. Coerente con le stelle va la tentazione.
Etichette: Poesia epica
Ferragosto
Minchiuna! Lasagne spettacolo! e per la suverchieria pure il bon roll con le patate! sono una fogna! Ora ci vuole un caffettone di quelli urticanti per caffeinità (dovrebbe essere l'omologo di alcalinità, ma non so se esiste. Bè se non esisteva prima esiste adesso.)
14.8.06
Menù della cena: scaloppine di tacchino ai funghi e germogli di soia. Si vede benissimo che ho dei funghi e dei germogli di soia da fare. Per domani invece sono previste lasagne al ragù e bon roll in tegame con patate. Spero che almeno domani finiremo il vino, è una tentazione troppo seccante.
E sebbene il sacrificio appaia ad altrui occhi violento ed infiammato
pur lungi è ancora l'attimo con nuova linfa di rimpolpare il fato.
Potesse per miracolo squarciare il velo che cela il suo futuro,
ne sarebbe imbarazzato, come un chierico che spiasse dietro il muro.
Etichette: Rime sparse
Groenlandia 2001
Menù del pranzo: spaghetti ai 5 cereali saltati in padella con funghi e germogli di soia. Buoni. Colonna sonora durante la preparazione: Metallica. Ieri mi era venuta una qualche idea, ma adesso non me la ricordo più.
Ieri leggendo mi sono imbattuto in una convenzione linguistica della lingua italiana che vorrei far fuori dalla faccia della terra:
"...tanto poco era il tempo..."
Dovrebbe essere :
"...talmente poco era il tempo..."
Questo usare tanto come avverbio è fuorviante e a tratti osceno.
13.8.06
Falene e pipistrelli
Ovvero gli abitanti della notte. Sì, anche qui nel centro di milano, certe serate di mezzo agosto paiono quelle surreali di una qualche città dimenticata in una serie tv ambientata in un prossimo futuro. I giorni invece sembrano una continua sequenza di domenica pomeriggio. O si dice domeniche pomeriggie? e comunque la regola delle i non la capirò mai. Un unico lungo momento stiracchiato, accendermi una sigaretta potrebbe essere una violazione alla privacy del tempo. Anche lui ha diritto ad una vacanza. Prima va pian pianino, e ci pare infinito oltrechè indefinito, poi d'un tratto te lo ritrovi tickling away. Mi piace questa cosa degli inglesi che aggiungono ai verbi particelle che perpetuano il significato al di là del significante. La loro lingua, sebbene caotica, ha un dinamismo maggiore della nostra, intrappolata in rigide strutture create quando ancora non c'era la polvere da sparo, ed esplosione era un significato circoscritto. Per noi infatti l'esplosione di gusto è una stronzata, mentre la famosa fresh air explosion ha senza dubbio un impatto diverso!
12.8.06
Notturno d'orchidea
Mille ed un raggio nel buio si fan strada
Mille e una rosa ti cingon d'intorno,
In te guardo notte, eppure sei giorno.
Soffia a primavera il primo vero vento
Soffia quel calore di cui tu sei memento,
A te, mio nutrimento, fino all'ora di rugiada.
Etichette: Poesia d'amore