Mi ricordo che eri riccia, boccolosa, splendida. La tua pelle riluceva fra le pozzanghere di Messina come perle su di un tavolo d'oro, e il tuo respiro, tradiva attesa, e i tuoi occhi, non ho mantenuto lo sguardo. Ti accarezzerei piano, come quando dormivi, e io stavo notti intere a cercare il tuo profilo nel buio, a bere il tuo respiro profumato, a sfiorare il tuo viso, ad abbracciarti senza che te ne accorgessi, senza che il tuo riposo ne fosse di nulla scosso. Un bacio sulla guancia, al massimo. Una volta mi hai dato un bacio sulla guancia. È stato un bacio bellissimo, più bello di quello sul divano in terrazza. Forse non è in te, ma te l'ho dipinto addosso. Il fatto è che ti dona da impazzire!
Non respiro.
Ho un coso nel petto, sospetto che sia quello stesso uccello padulo che altri dicono entri in culo. È strano che io non me lo senta in culo? Che io sia consapevole e determinato? Avevo una sola cartuccia, l'ho sparata, e non è andata a vuoto, no, perché no no no! Non è a vuoto. Tu sei migliore, tu sei stata felice, dicevi: "che cos'e' quella cosa che mi travolge quando ti "percepisco"?" Ok. Non è stata a vuoto. Ma è stata sparata. Se una volta, anche solo un'altra volta nella tua vita, da sola, anche se magari non mi vedi da anni, avrai quel lucore negli occhi, quello di trepidazione e fiducia, quello in quella foto, anche solo un'altra volta, la mia sarà stata un'ottima cartuccia. Non me lo sento in culo, in fondo sono stato io ad abbandonarti, a tradirti, a deluderti. Ho perso lucidità, ho perso ambizione, mi succede è una debolezza. Mi sono fermato, tronfio di quel colpo perfetto che avevo messo a segno. Non ho riconosciuto i silenzi. Non sono stato uomo. Non ho smesso di pensarti non dico un giorno, ma nemmeno sei ore. Mi son detto, è un'ossessione, una fissazione, mi sono umiliato: "penso a lei solo perché cerco chi me la da prima". Chiodo scaccia chiodo. Manco per idea. Ho provato a disprezzarti, o a deriderti dentro di me. A rivolgermi a te nel mio pensiero come "tettine" o in modi antipatici. Ma rimane quel sorriso. Quello sguardo. Sono andato via, ogni notte pensando a quando ti avrei rivista, come un soldato, lontano, in guerra. Spesso mi sono rincuorato da solo, curato le ferite, le abrasioni, una lettera senza risposta. Una voce.
Attenderò quieto. Mille anni. Pronto alla perenne assenza. A costruire, venticinquenne, una vita su di te, lontana. Con te, lontana. Da solo. Che poi di solitudine non si tratta, con amici e parenti, con donne e ragazze, e ragazzine. Privo. Come un orfano del genitore. Ma con in più la gioia segreta perché tu sei viva. Ed hai una voce. Un sentire. Tutto per te, quel che costruisco. Una tribù attorno, amici sinceri, armonia. Eleganza, viaggi, discoteche. Cinema, libri, partite di calcetto. Esulto e bacio quell'anello che immagino. Che è solo un simbolo, quindi manca tanto quanto. Le mie risate? In tuo onore. Stappo una bottiglia? Ne va un po' in lavandino, per chi non è accanto a me, ma convive nel mio cuore.
Sopraggiunge il nichilismo, nulla veramente importa, e preveggo, come accade ai miei amici, un giorno di ritrovare una svilita passione, una felicità svalutata, ormai represse in ancora giovinezza le belle speranze di amore, carriera, famiglia. Di onore, come uomo, di quei piccoli eroismi che ancora ci sono concessi. Di mantenere la calma in momenti fuori dal comune, perché a intraprendere straordinarie azioni son bravi tutti, se attorno è quieto. Un balzo dal bunjee, con tutta la tua calma è un conto, una semplice nuotata, è un altro conto, se da quella nuotata, magari al buio e in burrasca dipende la vita di qualcuno cui tieni. Perciò non mi sento un eroe per aver fatto tuffi e voli, salti e lanci. E non mi sento un amante per come son stato durante. Ma il dopo. Che strano, ho la sensazione che ci possa essere un errore in questo. Dopo, al buio. Dopo, in silenzio, combattendo i mulini a vento, novello don chisciotte, combattendo gli squarci di quei lampi che venivano neri e potenti, a squarciarmi la schiena, quando mi dicevano di te. Sei diventata innominabile. E così hai potuto, ha potuto il mio ricordo di te, assurgere ad un nuovo confronto, sereno e malinconico. Ogni poesia che sento dentro è per te, mio malgrado, senza forzature, anzi se forzature ci sono state sono quelle atte a dimenticare, ad accantonare, ma come in ogni cosa, è il giusto peso che cerca il giusto spazio, e così è, se mi pare. Che il balsamo della tua voce per me sia più lenitivo e nutriente che Nausicaa per Odisseo, che il ricordo del tuo pensare abbia solo lo spin opposto, e sia sulla stessa orbita, del mio. Che la memoria del tuo sentire sia come il dolore di un mutilato, che avverte vivo quel che più non ha. Questo è il giusto peso. Inutile e sbagliato non considerare un peso siffatto. Gioisco della tua gioia, trepido con te, per te faccio il tifo. Io attenderò qui, mille anni ancora, per vedere quel sorriso, felice. E poco importa se non sarà per me, è necessario che sia, io son qui, accanto.