30.10.07

Atene - notte di Natale 1064 Parte I

Avevo la barba lunga ed incolta, ed il mio vestito era tutto qui: un gonnellino di pelle ed una bretella, sulla spalla sinistra. Non avevo scarpe ai piedi, ma passeggiavo sotto una luna ancora grande e vicina a noi, nel preambolo di una notte fresca e quieta. La presenza di quella palla di luce gialla e verde macchiata mi faceva fremere il sangue, mentre giocavo ad estrarre e ritrarre le zanne, in compagnia di un fratello molto anziano. La sua elegante snellezza faceva da contaltare al mio fisico robusto, sebbene fosse solo poco più alto di me. Ma mentre io conservavo i colori di un essere umano lui aveva una pelle bianca e lucida come perla e sembrava che i raggi della luna a noi tanto cara vi si riflettessero. I suoi occhi erano racchiusi in orbite profonde e buie, ed erano iniettati di sangue scuro, lo stesso color porpora della tunica che indossava e che cadeva a pochi centimetri dai calzari di cuoio.

Diversi sentieri si incrociavano su quel colle ai margini di Atene, alcuni corti e poco battuti altri quasi delle strade. Su ognuno di essi almeno una coppia di figure, maschili o femminili non saprei ricordare in quali proporzioni, ma per noi è indifferente. Feci invece caso al fatto che ero l'unico a non indossare abiti di stoffa, anche se la cosa rivestì per me un'importanza davvero esigua. Mi piaceva guardare l'acropoli in lontananza, segno di una civiltà antica quasi quanto il mio compagno ne era guida, marmorea ed artistica come lui, compìti ambedue, ed entrambi ammirevoli. Man mano che la luna si allontanava liberandomi da un senso di ottundimento che era simile ad un'ossessiva necessità di stupire i miei sensi si riappropriarono della mia attenzione.

Così percepii brani di conversazioni di tutti quei personaggi che avevano popolato il colle, ed attraverso i toni delle loro voci, e i timbri di quelle e le parole ricorrenti, riuscii ad intuire una sorta di massiva euforia che si frena. Contai più di venticinque vampiri lassù, fra quelli visibili e quelli a me percepibili. Non dubito che ce ne fossero degli altri che riuscivano a celarsi alla mia attenzione. L'odore della terra innaffiata e smossa salì alle mie narici portando l'effluvio di ulivi e di mare. La brezza accarezzava la mia pelle deceduta 1031 anni prima e con essa arrivò anche l'odore di sangue caldo, ancora vivo e pulsato da cuori umani. Venivano verso di noi, e così mi sforzai per cercare di carpire le loro intenzioni, ma non sembravano avere una volontà comune.

Ad un tratto il mio ospite si alzò di qualche decina di centimetri da terra, e sillabando parole silenti vidi che un fluido sanguineo partì da lui disperdendosene come onde in uno specchio d'acqua che fossero state generate da un sasso. La tensione degli altri salì alle stelle e oltre un centinaio di umani comparvero confusi e madidi nel giardino del chiaro di luna. Ci fu immantinente un attacco deciso, ed in meno di quindici secondi un terzo degli umani era morto, chi dissanguato come giusto nutrimento, chi esploso in uo sbuffo di sangue e frammenti di osso come uno di quei fuochi dei persiani. Ebbe così inizio un delizioso panico comune, i vampiri erano presi dall'estasi del sangue cui ancora io resistevo, e gli umani scappavano terrorizzati, ma ancora non pienamente consci di cosa stesse loro accadendo. Poveracci, pensai, il buio non li aiuta di certo.

22.10.07

Bloody Monday

La pelle al termine del muscolo dell'avambraccio è più soffice e profuma spesso. Ha l'aroma dell'azione e degli abbracci, e nei soggetti allenati è più tesa e per questo più facile da spaccare coi canini. L'estasi del bacio continua perchè il sangue lì è frizzante e reca pensieri d'amore nel braccio sinistro vicino al cuore, e ricordi di cose vissute nel braccio destro. Lo senti con il naso prima ancora che con la lingua, lo avverti che nutre la tua anima sudicia di reietto parassita notturno prima che le immagini di una vita che più non avrai si riverseranno calde nel tuo cuore ormai secco e gelido, dandoti per qualche minuto la sensazione che tu chiami di onnipotenza ma che a ben vedere non è altro se non vita. Oh, ma l'impossibilità di resistere al fascino dell'innocenza è la dannazione di molti di noi nel mondo della notte, e quando l'umanità abbandona i nostri cuori la nostra malizia riprende il possesso del nostro corpo, invidiabile agli occhi degli ignari. Così puoi di nuovo avvicinarli, tu pallida luna del loro essere Sole, nel freddo senza suoni brilli agli occhi di un romantico, e lo attrai come una marea di sangue alla tua bocca, per godere tu più di lui dell'orgasmo dei dannati. E non senti più se il sangue ha quel gusto frizzantino dell'adolescente insicura o il robusto corpo di un atleta su di giri. Non ti importa se l'hai avvicinato con le sembianze di un angelo dopo la messa della sera, promessa di redenzione o se gli hai promesso invece uno sballo intenso e supremo, perchè loro avranno quel che vogliono, l'una la redenzione, l'altro lo sballo. E tu il tuo plasma caldo che ti riscalda il petto, che ti permette di sentire di nuovo che la pelle è baciata dal vento, che ti toglie per dei minuti il sapore di cenere e di morte dalla bocca.



Basta parlare, il sole è tramontato, è tempo di caccia.





18.10.07

Lebbra

All’incirca nel tempo n cui visse Gesù Cristo la lebbra era piuttosto diffusa. Almeno una corrente del credo popolare, se non l’intera popolazione, aveva la convinzione che essa colpisse i peccatori, coloro che commettevano inadempienze all’etica comune, rozzamente codificata dall’uomo del tempo, o addirittura di tempi addietro, e barbaramente imposta come legge divina. Tralasciando la codardia di chi scarica sul “divino” la responsabilità della propria crudeltà (ed in generale della propria nequizia) commettendo blasfemia, volgiamo l’attenzione alla vita dei lebbrosi. Fino ad un momento qualunque persone come ciascun’altra, alti, bassi, magri, grossi. Biondi e bruni, donne e uomini. Nessuna ragione apparentemente chiara per giustificare una malattia che ti macera le carni, che ti fa cadere le dita e la faccia, che ti manda in putrefazione il tuo corpo vivo mentre esso stesso è irrorato dalla stessa linfa che ad altri basta. Una differente reazione delle difese immunitarie, credo, da profano. O un batterio od un virus. Insomma, non di certo l’errore.
Oggi nelle nostre città è di certo raro, se non impossibile, incontrare qualcuno il cui corpo cada a pezzi.
Ma vogliamo parlare dell’anima?
Sia che ci sia un motivo che possa giustificare il disagio temporaneo accade spesso che le ferite al cuore, o alla fiducia, ed in generale ai sentimenti possano diventare sozze e avvelenate, perché non adeguatamente sciacquate, perché le convalescenze sono sottostimate, perché le ricadute sui tessuti fragili sono in agguato. E così ci ritroviamo lebbrosi nell’anima senza neppure sapere più perché ci fa male. E perdiamo pezzi di cuore per infezioni che non sono state capite, non sono state curate, non sono state diagnosticate. Ognuno di noi ha l’imperativo morale categorico di perseguire l’assenza di disagio, per sé stesso e per gli altri, per la porzione di responsabilità sociale che ereditiamo da questo mondo che, vuoi o non vuoi, è reale. Per paura o per vergogna ci chiudiamo nei nuovi ghetti e nei nuovi lebbrosari, cerchiamo solo la compagnia di chi “ci capisce” di chi “è come noi”. Mi pare un pulsione comprensibile, a patto di non indulgere troppo nella mollezza di spirito, perché un arto ferito dopo la convalescenza deve recuperare forza, va allenato, va tenuto sotto controllo. E come potrebbe essere diversamente per un tessuto così impalpabile come l’anima? Per uno scheletro così fragile come lo spirito? Sarà fragile il tuo, di spirito, mi rimprovereranno i cinici o gli infastiditi. Forse. Ma lascia che ti dica un’altra cosa, cinico, infastidito. Lascia che ti dica che se ti procurerai una piaga alla gamba essa verrà sciacquata, disinfettata, trattata, la sua infezione combattuta con i mezzi frutto di ricerche ormai secolari. Ma cosa farai quando ti cadrà un pezzo di cuore? Abbaierai contro l’ignoranza? Imprecherai contro chi ti vuol male? L’arresto di un accoltellatore non guarisce le ferite che il suo coltello ha causato. Ed in mancanza della possibilità di incontrare oggi Gesù o un altro guaritore miracoloso noi abbiamo il preciso compito di non espandere l’epidemia. Di accettare che l’espansione della lebbra dell’anima è in crescita. Di curare le ferite nostre e di lenire le sofferenze altrui. Di trovare se non rimedio almeno un argine.

11.10.07

Fuoco su Babilonia!

Ancora una volta una canzone mi stimola riflessioni, e la canzone in questione è Fire on Babylon di Sinead O'Connor. A dir la verità più che la canzone stessa è stato il titolo ad avermi innescato il brain process, sapientemente coadiuvata dagli strilli inumani di Sinead, a giustificare le immagini apocalittiche che si formavano nella mia mente mentre passeggiavo proprio in Duomo, di meteore e fiamme che scendano giù dal cielo (figurativo). E mi è venuto in mente la frase di Nietszche "la virtù si sente meglio dopo che si è presa una vacanza". Per esempio ci sono momenti in cui esercitiamo inadempienza ai nostri doveri oppure lasciamo che qualcuno manipoli il nostro sentire per tema di ferire o colpire, quando magari dall'altra parte c'è solo cieca arroganza o peggio, malafede. E così le nequizie altrui iniziano ad avvelenare anche chi di nequizia non ne recherebbe il fuoco, se fosse per sè, proprio perchè subdoli e notturni sono gli stratagemmi che attaccano un'anima in buona fede. E man mano questa arroganza, se trova il terreno fertile della non combattività, genera paludi di malsano malessere in cui anche il più cauto dei passeggianti può lordare il suo abito, sia esso bianco e limpido, sia esso un po' meno chiaro. Estendendo l'analogia ci si ritrova senza sapere perchè in una Babilonia dalle grandi potenzialità pervertite, con le colpe che hanno perso memoria dei loro stessi padri, ma che camminano a testa alta, con gli errori che insozzano il pensiero, con i rancori che avvelenano i sentimenti. Ed allora Fuoco sia, su Babilonia. Metaforica fiamma sacra, sacrosanta. Sospiro. E così sia.

Mi riaffiora questa poesia.

Sirena
Datteri rossi dalle tue labbra esiliati
Colti da imbarazzo come da baci rubati;
Il tuo dire è parola in questa maniera;
Di confini ed assedi non ha tempo e dispera
Ora al tuo cospetto, sconfitto senza pugna
Quel cuore cui tutela gentile non gli giugna.
Hai tu voce più dolce dei frutti, Sirena
D’incanti e d’aurora ammantata
Come di spuma dal sole dorata.
Uno schiaffo dall’onde, un memento
Per un momento son memore e in me.
Ed i miei compagni sordi di cera
A quella tua armonia, a questa mia smanìa
Incatenata di conoscenza ad un albero,
Ristanno. Più non ti sentiranno.
La vela spiegata si gonfia di tiuche
Sospinge con me il mio legno lontano
Da te, Sirena; dal ricordo che invano
Quel canto usò violenza alla volta mia.
Gorgheggi senza uso, il tuo canto è una bugia.

9.10.07

Discernimento

God grant me
the serenity to accept the things i cannot change
the courage to change the things i can
and the wisdom to know the difference


Così si apre una delle canzoni più empatiche ed intimistiche di Sinead O'Connor (Irlanda, ancora una volta? eh, no basta, hai rotto).

E vabbè, le mie radici sono anche lì, ed è lì che attingo. Ci sono un sacco di mantra preconfezionati che man mano che si avanza nella vita ciascuno fa propri, come quello qui sopra, che è tratto dalla bibbia, o come quello che ci fanno recitare in palestra di cui ho parlato qualche post fa, e molti recitano come essere, o come agire, o come pervertire la propria volontà, il proprio desiderio, la propria coscienza.

Quello sopra però secondo me è fondamentale nell'inserimento della "wisdom". Saggezza? o meglio: Discernimento? Chi di noi può dire con certezza se le proprie scelte siano frutto di discernimento? quanto spesso invece facciamo delle scelte perchè è quello che farebbe il personaggio che ci siamo dipinti addosso?

Questo è un problema, perchè se per caso (per caso eh) noi non dovessimo essere un incrocio fra giotto e jung, e se quindi noi non conoscessimo esattevolmente come siamo, vogliamo e possiamo essere, oltre a non essere esattevolmente in grado di dipingercelo indosso, allora correremmo un pericolo di menzogna.

Menzogna contro se stessi, un peccato grave, ma soprattutto un peccato difficillimo a trovarsi, perchè "se tu non lo farai... no one will". Parola di Galadriel. C'è poco da fare, non ci sono bacchette magiche, mantra spirituali, non c'è nessun deus che arriva ex machina per prelevarci, ungerci il capo ed i piedi di santificante olio misterioso che lavi via i nostri peccati, le nostre paure, e renda immantinente veri i nostri sogni.

Non esisterà una dama della Luce che ci riempirà di doni per aiutarci a percorrere la nostra via, perchè "all i need is inside me", come recita, ancora una volta con giudizio, quella canzone di Sinead, che sarà pure un'artista mediocre per qualcuno, o poco figa o che ne so. Ma ha indiscutibilmente una sensibilità fuori dal comune.

Concludendo...

Miao.

8.10.07

Il lamento del Narciso


Ci sono alcuni accordi che toccano il cuore, e ce ne sono pochissimi che il cuore lo fanno entrare in risonanza pura, atrii e ventricoli che pulsano insieme alle note, e sangue che fluisce con l'enfasi della voce. Quando sento Daffodil Lament dei Cranberries mi succede questo. Mi sento come prelevato dal mio corpo, i miei occhi smettono di comunicare al mio cervello, e la mia anima si stacca dal mio corpo, mantendo con esso solo un misero "cordone" argenteo, mentre fluttuo in una bolla atemporata di milioni di secondi, e ricordi e sensazioni mi si affastellano come legna per un falò, che improvviso divampa senza consumo e senza ustioni, solo tepore, luce e magia. Non credo siano le parole del testo, che lette da sole non mi trasportano da nessuna parte, ad essere intrise d'irlanda, o di anima, o di sogno mistico, ma credo che sia la sillabazione ritmica unita al suono che la accompagna, un incantesimo in piena regola, che non è un unicum. Questa stregoneria ha effetto sull'umore e sull'empatia, quindi è spirituale, e attinge ai ricordi laddove li ha, aumentando la propria potenza: infatti piombo inevitabilmente su una bicicletta che va veloce sulle strade del ring of beara, una penisola fra due fiordi irlandesi, felice dell'amicizia di chi era con me, euforico nel mio amore per l'Irlanda, deliziato dal ricordo di valli glaciali e laghi blu topazio, incastonati fra declivi verde smeraldo, gioielli che la Corona se li sogna, non esclusivo appannaggio dei reali, ma non per questo meno reali nel loro donarsi a noi, silenti, atavici, mistici, ma terreni.


Come un bicchiere di vino con il giusto piatto, questa canzone s'abbina ad una porzione d'Irlanda.



Foto di S.L. Fischiettando felice verso una giornata indimenticabile - Kenmare 2002

6.10.07

Impero d'Irlanda

C'è un altro viaggio che mi piacerebbe fare, guarda caso, in Irlanda. Mi piacerebbe essere lì, mettiamo a Dublino, che è la città meno irlandese di tutta l'Irlanda, essendo stata fondata dai Vichinghi, e da lì una mattina grigia in cielo ma verde sui prati prendere un deltaplano o un piccolo velivolo silenzioso, che ne so, una mongolfiera, un drago invisibile (ma che non abbia mangiato pesante, che se digerisce forte è un casino) un parapendio, ed avviarmi verso nord ovest, in direzione della pietra di Faal, sulla Hill of Tara. Narra la leggenda che sul mound dove giace la pietra di faal avvenissero le incoronazioni dei legittimi Ard-Ri (re supremi) di Eriu. Eriu è il nome che preferisco di quelli dati all'isola di smeraldo. E la pietra di Faal cantava, è detta la pietra che canta. Cantava solo se la toccava la persona giusta, il che mi fa venire in mente anche altro, ma sorvoliamo. E sorvolando i campi verdi in cui il vento muove le erbe come fossero onde mi piacerebbe poi dirigermi ad ovest, mentre pian piano il grigio delle torbiere si sostituisce a quel mare verde, e man mano l'odore delle distillerie si confonde con gli ultimi rimasugli di aria marina, cercherei di starmene alla larga (ma non troppo alla larga) dai vapori di whiskey (mai omettere la e, gli irlandesi si incazzano come irlandesi!) e tenterei di raggiungere una sponda del fiume shannon, per vedere il cuore pulsante e il sole al tramonto tuffarsi dentro ad un laghetto blu mentre l'aria si rinfresca. Ecco, potrei togliermi le ali, in quel momento e fare una sosta in un pub, di quelli con le porte di legno scuro, il bancone di legno scuro e tantissimi bicchieri. Uno di quei pub dove un signore baffuto e paonazzo sta orgoglioso su uno sgabello con una pinta di guinness in una mano e l'altra mano sulla spalla di un ragazzo, mentre quello, suo nipote, si beve la sua prima pinta col nonno. Ordinerei un piatto di salmone e funghi, e mentre attendo prenderei una guinness e delle patate, mentre l'oste segaligno tiene lo sguardo basso tipico degli osti migliori. Lascerei che il tepore della gente e quello dell'alcool affiorassero sulle mie gote e qualche pinta più in là potrei bere un paio di whiskey.





A nanna, adesso, domani si vola.





Foto di S.L. Il legittimo Imperatore d'Irlanda che fa cantare la pietra di Faal - Tara 2003

5.10.07

Senti freddo?

-Perchè non sei mai caduto da una moto da neve in Groenlandia, alle sette di sera ed in pieno inverno, e soprattutto non ti sei dovuto fare altre 8 miglia con la neve nel collo prima di poter abbracciare una stufa a cherosene. Quindi non parlarmi di freddo.-



Questa è una delle mie frasi tipiche quando qualcuno mi chiede se ho freddo. E dietro questa frase, come dice Arseface, si annida una storia. Ma andiamo per gradi, perchè intanto mi piace molto "si annida", è una cosa tenerecchia, c'è una storia tutta accucciolata dietro una frase, e ancora no sappiamo se ha messo le piume oppure no, ma quel che sappiamo di certo è che quella storia quale che sia, proprio perchè è una storia, ama essere raccontata davanti ad un fuoco. Chissà se per le storie nascere davanti ad un fuoco equivale a nascere normalmente mentre se non nascono davanti ad un fuoco allora per loro è una sorta di parto cesareo. Ammettiamo che questa storia sciocca di un povero cristo che non capisce la lingua degli Inuit e cade nella neve come un testicolo sia una storia colorata, e non una storia in bianco e nero. E sia oltretutto una storia piumata, così è facile immaginarci la storia, piumata e (mettiamo) viola, che timida ma orgogliosa si accucciola dietro una frase. Ora dobbiamo immaginarci la frase, ma se la frase è come quella di cui sopra, che è tagliente e scocciata e che parla di freddo allora non ci si può esimere dal considerarla come un pentagramma in bianco e nero. E così avremo un piccolo pennuto viola che si ripara dietro una pergamena di spartito. Probabilmente è lo spartito di una canzone di Belle&Sebastien, nello specifico di "La Pastie de la Bourgeoisie" [...]And you love like nobody around you How you love, and a halo surrounds you[...]. Anche perchè Sebastien (era lui il cane vero?) era un San Bernardo, e se cadi nella neve con -50° un sorso di miruvor lo vuoi proprio.



Ecco fatto, ho dato vita a una storia.






Foto di M.G. Io che bevo poco prima di finire nella neve - Groenlandia Febbraio 2001

4.10.07

Saluti

Rime snocciolate come sabbia fra le dita
per dire, fare dare o cominciare una partita.
Quelle eran parole che un tempo mi hanno detto
che affiancavano il sentire al moto di clessidra.
Chi compagna è stata ma non lo fu di letto
Chi con la sua ira si trasfigura in Idra.
Contatto furioso di legno e di mani
croste di tempo nel caotico domani.
Scorre la sabbia, scorre senza sosta
e non importa se tanto mi costa.

Ma questo non basta.

Non basta il coraggio di non proferir parola
Non basta questa storia, che è una fola.

Perciò saluti, anima innata
ne riparliamo dopo la tua epifania
saluti, anima drogata
saluti, e così sia.

2.10.07

Defying the laws of gravity

Ieri sera tornando dalla palestra mi è venuta in mente una riflessione. E se tutta qusta ansia e questa angoscia degli ultimi tempi, se tutta questa necessità di emergere e di rompere gli indugi non fossero altro che la giusta reazione all'inattività dopata degli anni passati nella menzogna di me stesso? In fondo se la mia pulsione rabbiosa ad avere di più fosse solo una cosa naturale? perchè non dovrei assecondarla e in pratica lasciarmi trascinare dalle mie energie in evidente esubero? tutto quadrerebbe, ed il cerchio si potrebbe, finalmente, chiudere. Tutte le persone che ho conosciuto negli anni hanno lasciato un piccolo segno in me, e ne ricordo poche che non abbiano almeno mostrato interesse, quando non fascino, e quasi sempre benevolenza. Ogni cosa di quelle poche che ho portato a compimento, è risultata ben fatta, e brillante, quindi non c'è ragione di credere che questa sia paura nè incapacità. Si tratta invece di fretta, di urgenza, di premura, e io anche in questo stesso istante sto cercando di imbrigliarla incatenando con la ragione, mio baluardo, un'energia che don't stop me now! Vorrei ringraziare pubblicamente Vale ed Eu, per essermi stati meravigliosamente vicini e di continuo supporto in queste ultime settimane difficili. Non dico che non mi merito amici come voi, perchè alla fine non è vero. Ma la mia gratitudine vi raggiunga ugualmente.

E con il malessere se n'è andato anche il demone della scrittura, quindi non aspettatevi post paurosi a manetta, magari ogni tanto parlo di persone, magari ogni tanto di Irlanda, e magari qualche volta di viaggi, mentali o onirici. Ieri mi era anche venuta un po' di ispirazione per continuare quella poesia del fascio di luce, ma il barlume è stato labile. Adesso, stante il fatto che noi hobbit siamo ghiotti di funghi, mi tocca mangiare un'intera torta ai porcini e patate. E onestamente, è molto meglio questo che stracciarmi il cuore a brandelli.

1.10.07

Taiji Meihua Tang Lang

Dopo un infortunio di cinque mesi ho rimesso piede in palestra. Non nascondo una certa emozione, e stasera quando metterò i pantaloncini e la nuova maglietta sarà ancora maggiore. Spero che basteranno i primi quindici minuti di riscaldamento per ottundermi il pensiero quel tanto che serve per permettere al resto dell'allenamento di influire sul corpo. Mens sana in corpore sano, tradunt. Il mio stile marziale predica umiltà, coraggio, fortezza. Ed ha radici nel misticismo spiritistico di un buddhismo giovane che ha nelle sue caratteristiche la pazienza e la tranquillità, o quanto meno la certezza che la tranquillità sia raggiungibile, laddove invece per noi in occidente la certezza è che l'aldilà è raggiungibile, il che se vogliamo è sì più pragmatico ma alle volte può tagliarti le palle. Ho scelto questo stile di Kung Fu, nonostante fossi contrario alle arti marziali, perchè convinto dall'aria che si respira in palestra, e non intendo quella degli spogliatoi chiaramente, ma quella che stranamente per una palestra di arti marziali, non è di esaltazione ma di allegra concentrazione, un po' casinista ma molto raffinata. Tutto genio e sregolatezza, genio nel carisma del maestro e di qualche allievo, e sregolatezza nei programmi che cambiano sempre, nelle mila varianti di tutte le prese e posizioni. E poi se anche gli anziani non sono troppo bravi il mio morale ne guadagna, sacre bleu. Per un giorno lasciamo da parte quegli altri pensieri che mi attanagliano, e lasciamo anche da parte le poesie, i viaggi intergalattici, le superomistiche superseghe supermentali che di solito lascio qui. Oggi umiltà. Domani coraggio. Forza!



Foto di mio padre: me in una posizione ibrida - largo delle eolie 2004